La vecchia teleferica del cementificio e il trenino della cava ex Italcementi di Trieste
Un impianto a fune divenuto interessante reperto di archeologia industriale anni ’50 è protagonista nell’esplorazione di oggi. Si tratta di una teleferica per il trasporto materiali, parzialmente smantellata, di cui sono visibili ancora oggi molte parti.
Era l’estate del 1952 quando entrò in servizio questo impianto al servizio della fabbrica Italcementi di Trieste, inaugurata un anno prima. Costruita dalla tedesca Pohlig, con una lunghezza di quasi 4 km, serviva per trasportare il calcare estratto dalle cave di San Giuseppe fino al cementificio, situato nella zona industriale, dove veniva impiegato nella produzione del cemento.
La stazione motrice era realizzata in una caverna, ed è rimasta quasi intatta nelle sue parti meccaniche. Una volta entrati nella stazione, i carrelli vuoti si sganciavano dalla fune e venivano deviati su una lunga rotaia per invertire la marcia percorrendo una curva ad U. Alla fine della curva, un sistema di caricamento automatico dotato di 3 bocchette, provvedeva a caricarli con il pietrisco. Gli inerti scivolavano dall’impianto di frantumazione soprastante attraverso dei pozzi scavati nella roccia per poi finire in un dispositivo di caricamento dotato di bocchette con apertura automatizzata. Dopo essere stati riempiti, i carrelli venivano fatti avanzare da un sistema a catena fino al punto dove venivano nuovamente agganciati alla fune traente, e da lì aveva inizio il lungo viaggio verso il cementificio, sito a quasi 4 km di distanza e ad una quota inferiore di circa 250 m. Da notare che la linea era in discesa, quindi non c’era quasi alcun consumo di energia elettrica per far viaggiare i carrelli. I 124 carrelli utilizzati erano in grado di contenere 1 tonnellata di materiale, e complessivamente erano in grado di trasportare a valle 150 tonnellate/ora di calcare viaggiando a 1,5 m/s.
Sul ciglione roccioso dell’altopiano carsico ci sono le cave di San Giuseppe, dove si estraeva il calcare. Sull’enorme area spianata della cava superiore, è ancora presente una pala cingolata, miseramente abbandonata come un relitto nel deserto. La cava inferiore è quella più antica, qui sorge anche l’opificio di frantumazione ed altre infrastrutture interessanti da vedere.
Incuriosisce la presenza di un binario a doppio scartamento che sembra condurre ad una galleria. Si tratta di una breve ferrovia Decauville utilizzata per trasportare le rocce fino all’impianto di frantumazione. In pratica il materiale veniva estratto dalla cava superiore e spinto con una pala meccanica in un pozzo collegato alla breve galleria sottostante.
All’interno, attraverso una tramoggia veniva caricato un apposito carro che poi veniva spostato su rotaia fino alla bocca del frantoio, dove era capovolto con una gru per svuotare il materiale.
Per trainare il pesante carro erano utilizzati 2 piccoli locomotori a batteria. I mezzi sono ancora parcheggiati nella loro rimessa, anche se pesantemente vandalizzati. La roccia calcarea veniva scaricata in un primo frantoio, che provvedeva a ridurne la pezzatura. Quindi, un sistema di nastri portava il materiale ad un secondo frantoio, dove veniva frantumato ulteriormente per poi essere inviato al caricamento della teleferica.
Una peculiarità della teleferica Italcementi stava nella presenza di due stazioni di tensionamento della linea, di cui una con deviazione ad angolo nei pressi dello stabilimento, demolita qualche anno fa. Il diametro delle 2 funi portanti era differenziato, ovvero era maggiore sul ramo in discesa dove passavano i carrelli pieni.
Dopo aver attraversato colline, piccoli boschi e campagne, i carrelli scavalcavano finalmente il recinto del cementificio, poco prima di giungere al capolinea. La stazione di arrivo delle teleferica era in cima ad un grande capannone. Qui entravano i carrelli e dopo pochi metri venivano rovesciati automaticamente sopra alcune griglie, attraverso le quali il calcare precipitava nel silo sottostante. Poco più avanti invertivano la marcia girando attorno alla puleggia di rinvio, e dopo essere stati nuovamente capovolti, ripartivano verso la cava.
La crisi edilizia dell’epoca recente, ha visto una drastica contrazione della domanda di cemento, con il conseguente taglio della produzione. Così, dopo 60 anni di servizio e oltre 10 milioni di tonnellate di materiale trasportato, anche la storia della vecchia teleferica è giunta ad un’inevitabile conclusione. La prima pietra della fabbrica triestina di Italcementi era stata posata il 21 gennaio 1951 e i forni, dismessi nel 2014, erano entrati in esercizio il 28 luglio 1954.
Dal 2019 sono stati chiusi definitivamente anche i cancelli della fabbrica, così come quelli di altre cementerie italiane della stessa società. E si è chiuso per sempre anche un capitolo di storia della città, che ha visto l’industria del cemento divenire protagonista nello sviluppo infrastrutturale e urbano della zona, per poi tramontare inesorabilmente, schiacciata da una crisi che appare irreversibile.
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